sabato 19 giugno 2010

"Irragionevole dolore"

"Più non to accoglierà la bella casa, né l'ottima sposa,
né ti correranno incontro empiendoti il cuore di una segreta dolcezza, i cari figli a strapparti i baci.
Non potrai essere d'aiuto ai tuoi, né ricevere gloria dall'opere.
Misero, miseramente a te" dicono "tutti un dì solo e funesto, ha tolto i gaudi del vivere"

Ma non aggiungono:
"Ormai in te non resta di tutto questo nessun desiderio"
Se lo capissero bene, e se parlandone fossero poi coerenti, ogni affanno,
ogni paura cadrebbe loro dal cuore.

"Allo stesso modo in cui dormi assopito tu dalla morte,
per tutta l'eternità sarai libero d'ogni molesto dolore.
Ma inconsolabili noi ti abbiamo pianto vicino al rogo orribile dove incenerivi,
né il tempo potrà levarci l'eterno strazio dal cuore".

A costui, se si riduce la morte al sonno ed alla quiete,
dovremmo chiedere donde derivi tanta amarezza
che possa andar consumandosi tutta la vita nel lutto.

Fanno anche ciò quando siedono a mensa e stringono il nappo,
e velan con le corone la fronte: spesso dall'intimo gli uomini esclamano:
"E' breve tal gioia per gli omiciattoli: presto dilegua, né mai più potremo riviverla".

Come se il male peggiore fosse per loro, da morti, che li bruciasse - meschini - l'ardente arsura o la sete,
o il desiderio di un'altra cosa qualunque.
Ma quando del pari l'anima e il corpo sono in riposo nel sonno,
nessuno allora si cura dell'esistenza e di sé:
quel sonno infatti potrebbe essere eterno per noi,
né avremmo alcun desiderio di ripigliare coscienza:
eppure gli atomi dell'anima, allora, non vagano troppo distanti pei nostri arti, dai moti dei sensi,
dacché, riscosso dal sonno, l'uomo rientra in sé stesso.

Dunque la morte, ci deve toccare molto di meno,
se può sussistere il meno di ciò che è un nulla evidente:
ché per la morte si provoca nello scompiglio degli atomi più sbandamento,
e nessuno sorge ridesto, una volta che un intervallo di vuoto viene frapposto alla vita.

Lucrezio

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